Dal punto di vista anatomico l’ipotalamo rappresenta l’area cerebrale più importante per quanto concerne il comportamento alimentare. Nell’ipotalamo sono presenti i nuclei ventro-mediali e i nuclei laterali, e qui risiedono rispettivamente i centri della sazietà e della fame. Gli esperimenti condotti finora su questa specifica area del cervello hanno dimostrato che il centro della fame è, tra i due, quello sempre attivo mentre il centro della sazietà funziona come freno inibitorio la cui disattivazione o attivazione determina o no l’appetito.
Esiste una fame fisiologica e una fame emotiva. Ora provate ad immaginare cosa accade al nostro corpo quando alla fame fisiologica, il cui centro di controllo è sempre attivo, si sovrappone quella emotiva. La fame emotiva può essere scatenata da una o più emozioni (e quante ne proviamo in una singola giornata?!) e può protrarsi per un periodo di tempo più o meno lungo (da alcuni minuti a giorni interi), porta a desiderare uno specifico alimento o più in generale “avere fame”.
Non sono ancora chiari i motivi ma sembra che siano molto di più le donne a cadere vittime della fame emotiva rispetto agli uomini. Il vissuto quotidiano delle donne è talvolta impregnato di ansia, rabbia, frustrazione, inquietudine e sentimenti negativi rivolti verso se stesse. In assenza di un vero stimolo fisiologico a mangiare, ci si nutre di emozioni che possano tamponare il disagio interiore che si sta vivendo. Mangiare distrae dalle emozioni, e allo stesso tempo le nutre perché secondo alcune ricerche, l’emozione per prendere forza porta a desiderare alcuni tipologie di cibi, e questi sono a loro volta in grado di influire sullo stato emotivo. Una ricerca ha rilevato che la gioia porta a consumare cioccolato mentre la tristezza sembra diminuire la voglia di questo.
Ma anche la qualità dei cibi e la loro assunzione è in grado di influenzare lo stato emotivo di una persona. Pochi sanno ad esempio che un pasto ricco di grassi induca un maggiore apporto di sangue al cervello, allo stomaco e all’intestino, e che questo fenomeno porti a sonnolenza e apatia. Un bel piatto di pasta o un pasto ricco di carboidrati, induce tranquillità e serenità. Nel sangue aumenteranno i livelli di serotonina, mentre con un pasto proteico, migliora il tono dell’umore e la voglia di fare perché le proteine aiutano ad accrescere i livelli di dopamina nel cervello.
Lo zucchero e tutte le sostanze ricche di saccarosio in generale inducono un momentaneo appagamento sensoriale ed emotivo, ma ben presto compare la stanchezza, il malumore e il nervosismo. Stesso dicasi per la caffeina, che ti conferisce tono ma di breve e fugace durata.
E poi ci sono le carenze nutrizionali che possono amplificare in negativo le emozioni del vissuto quotidiano. Si vedrà il bicchiere mezzo vuoto se manca magnesio o vitamina B6 e irritabilità, depressione, stanchezza ci accompagneranno per buona parte della giornata.
Che mangiare dunque per nutrire le nostre emozioni?
Se l’umore è ballerino, tendenzialmente depresso, optare per un’alimentazione che preveda cereali integrali (per evitare i bruschi saliscendi della glicemia) e legumi (ricchi tra le altre cose non solo di proteine ma anche di vitamine del gruppo B di cui il nostro corpo ha davvero bisogno). Ridurre al minimo la carne, perché induce la formazione di adrenalina e dopamina ovvero i neurotrasmettitori che inducono aggresività e competizione.
Se prevale l’apatia, la stanchezza, la difficoltà a mantenere il focus durante il giorno, potrebbe trattarsi di una carenza di ferro. Aumentare il consumo di alimenti che contengono ferro vegetali come le lenticchie, i fagioli e di verdure a foglia verde scuro e di agrumi che sono dei concentrati di vitamina C.
Infine non dimentichiamoci di aumentare l’apporto di acidi grassi omega 3: avocado, mandorle, noci, anacardi, noci pecan, semi di lino o di canapa decorticati. Gli omega 3 agiscono sulla membrana neuronale aumentando la velocità con cui lo stimolo elettrico si propaga lungo gli assoni, non solo, secondo recenti studi gli omega 3, agirebbero da veri e propri attivatori dei geni preposti alla sintesi della serotonina.